G7: i migranti portano benefici economici o no?

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il Tra i temi affrontati al G7 di Taormina, il problema del flusso di migranti verso l’Europa non ha ricevuto quell’attenzione particolare che Gentiloni avrebbe sperato: il comunicato ufficiale e le dichiarazioni alla stampa dei vari leader, tra cui Macron, hanno, da un lato, enfatizzato la necessità di una risposta coordinata a livello internazionale; ma, dall’altro, il G7 ha chiaramente ribadito il principio che ogni paese sovrano mantiene il diritto di controllare i propri confini come ritiene opportuno. Nessuno, pero’, sembra sia stato in grado di rispondere alla semplice domanda “Ma, i migranti portano o no benefici economici?”,  cosa che non risulta del tutto sorprendente, dal momento che, anche dagli esperti del problema, non arrivano risposte chiare e precise. Ciò posto, il problema va studiato bene, prima di prendere decisioni irreversibili. Dal mio osservatorio asiatico, porto l’esperienza cinese che ha fatto del controllo programmato dei flussi migratori il fulcro principale della propria crescita economica. La Cina ha adottato, nel 1958, un sistema di controllo dei flussi migratori interni che proibiva ai residenti rurali di trasferirsi in città; un sistema che è stato pian piano rilassato nel tempo ma che, ancora oggi, limita tale flusso. Anche grazie a questo sistema, la Cina è cresciuta del 10% annuo per quarant’anni. È chiaro non possiamo copiare interamente quello che ha fatto la Cina, ma possiamo comunque porci dei quesiti che diano il la al dibattito, per cercare di fare un po’ di luce sull’aspetto puramente economico, trascurando – solo per adesso – l’aspetto umanitario e sociale, importantissimi.
1) Quando si parla di contributo apportato dai migranti all’economia del paese ospitante, bisogna chiarire se si parla di aumento dell’economia in senso aggregato, cioè crescita del Pil del paese, o crescita del benessere del cittadino medio, cioè crescita del Pil pro capite. È chiaro che quando i fattori di produzione – terra, capitale, lavoratori – aumentano, il Pil aggregato del paese tende ad aumentare, ma è il Pil pro capite che interessa di più. Se la Germania accoglie 800,000 migranti ed il Pil del paese (che ha 80 milioni di persone), cresce del 1%, il tasso di crescita del benessere economico del cittadino medio tedesco è nullo. Fumo negli occhi.
2) Nel breve – la visione statica – il Pil pro capite del paese ospitante crescerebbe soltanto se il reddito medio prodotto dai migranti fosse al di sopra del reddito nazionale pro capite al momento dell’arrivo.  Nel caso dell’Italia, il Pil pro capite aumenterebbe istantaneamente se i nuovi arrivati producessero, in media, un reddito superiore a 27,000 Euro. Cosa improbabile.
3) Nel lungo termine, tuttavia, il contributo alla crescita del Pil pro capite può essere positivo qualora il reddito medio dei migranti si allineasse, nel tempo, alla media nazionale del paese ospitante. Questo è il vero nocciolo della questione. Secondo vari studi accademici, i benefici nel lungo termine del flusso migratorio riguardano un aumento dell’efficienza delle risorse, un maggiore gettito fiscale, miglioramento del rapporto demografico ed un aumento della creatività, dovuto ad un aumento della diversità. Ma i risultati empirici sono poco chiari. Mi soffermo sul fattore “diversità” per dimostrare come una lettura superficiale delle statistiche può trarre in inganno. Studi sui flussi migratori mondiali tra il 1960 ed il 2010 ci suggeriscono che, in effetti, nel periodo 1960-2010, un maggior grado di diversità ha portato benefici economici al paese ospitante. Ciò sembrerebbe essere un argomento a favore dell’apertura delle porte. Ma una lettura più attenta rivela che tali benefici sono concentrati nel periodo 1960-2000 e che, invece, negli ultimi anni (2000-2010) l’impatto dei flussi migratori non è più positivo, ma negativo. Andando ancora più a fondo, si evince che, tra i paesi ospitanti, sono stati quelli con economie emergenti a trarre maggiori benefici, mentre la diversità prodotta dalle migrazioni verso i paesi sviluppati, del G7, ha effetti negativi sul Pil per capita. Quando si trova, invece, una correlazione statistica tra flusso migratorio e crescita economica nasce la domanda su quale sia la relazione di casualità: è il flusso migratorio che crea crescita, o sono le economic comunque già solide che attirano i migranti? Quindi, siamo in presenza di risposte che si alternano tra il positivo ed il negativo, a seconda di quanto a fondo al problema si voglia andare. Tornando alla Cina, so per certo che il successo delle politiche migratorie ha avuto come base imprescindibile l’accettazione incondizionata da parte della popolazione migrante delle regole e del sistema istituzionale della località ospitante, senza se e senza ma. Il patto sociale non è stato mai intaccato. E da noi, invece?

Una versione abbreviata di questo post è stata pubblicata su Radiocor (in Italiano)  e su Caixin (in Cinese)

1 COMMENT

  1. Premetto che non sono mai stato in Cina e non sono un esperto della questione, ma mi permetto comunque di fare un commento a questo articolo.
    A differenza di quanto affermato nel testo, diversi economisti indicano proprio nella migrazione dalle campagne alla città una delle concause che hanno permesso alla Cina di crescere rapidamente e di conquistare i mercati stranieri. Mi spiego, di fronte ad un aumento della domanda di beni cinesi le imprese aumentavano a loro volta la domanda di lavoro. Questo avrebbe dovuto comportare alla lunga un aumento dei salari che si sarebbe riflesso sui costi di produzione e quindi sui prezzi, facendo perdere gradualmente competitività ai beni cinesi sui mercati esteri. Per lungo tempo però questo non è successo, perché, oltre alla domanda di lavoro, è aumentata anche l’offerta, proprio a causa delle migrazioni (legali o meno) dalle campagne alla città. Oggi questo fenomeno sembra essere parzialmente mutato e, secondo alcuni, la prova starebbe nell’aumento degli stessi salari. Cosa ne pensa?

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