La Francia copia la Cina e fa meglio dell’Italia.

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Esiste una certa somiglianza nel modo in cui le operazioni di fusioni ed acquisizioni, cross-border M&A, vengono gestite dalla Francia e dalla Cina. Entrambi i paesi fanno sistema sia quando si tratti di investimenti outbound, verso paesi terzi, sia quando si tratti di investimenti in ingresso. Entrambi i paesi accentuano l’aspetto nazionalistico, spinti dall’orgoglio ma anche dalla necessità strategica di creare dei national champions in vari settori chiave. Per entrambi i paesi, il contenuto degli annunci ufficiali che, retoricamente, sono a sostegno del liberalismo commerciale, vedasi Xi Jinping a Davos e Macron in campagna elettorale, risulta essere molto diverso dalla realtà; entrambi predicano bene ma, ben presto, le spinte protezionistiche, gli interessi nazionali, Make France Great Again o China Dream prendono il sopravvento. E’ anche per alimentare questa ambiguità che, nel caso della Cina, la spinta economica verso l’Asia centrale e sud-orientale, l’Africa, il Sud America, l’Europa – cioè il mondo intero – viene avvolta da quell’aura benevola, avvolgente ed esotica detta “La Nuova via della Seta”; uno slogan che Pechino usa per convincere i partner internazionale dei benefici comuni di una maggiore apertura agli scambi ed alle acquisizioni di aziende.
Noi occidentali, deboli economicamente e, tra poco, anche istituzionalmente, stiamo, pian piano, sviluppando un complesso di inferiorità nei confronti della Cina e, lusingati dalle attenzioni che la seconda economia mondiale ci degna, ci caschiamo ed apriamo le nostre porte senza controllare se nel ventre del cavallo di legno si nascondano soldati. Per esempio, il sistema Cina ha deciso di metter in piedi una squadra che vincerà il mondiale di calcio a breve ed ecco che Inter, Milan e tante altre squadre europee cambiano azionisti. Negli ultimi 10 anni, la Cina ha concluso operazioni di acquisizioni per circa 22 miliardi in Italia e 20 miliardi in Francia. In senso inverso, l’Italia ha investito 350 milioni per acquistare società cinesi, la Francia 10 miliardi. Sommando, 42 miliardi dalla Cina contro poco più di 11 miliardi verso la Cina. (Dati Bloomberg che escludono gli investimenti greenfields). Naturalmente, le condizioni di reciprocità non ci sono, anzi in Cina e’ proibito, per esempio acquistare aziende che operano nel settore dello sport e della cultura. La Cina pubblica addirittura una lista, “The Negative List”, dove sono indicati tutti i settori industriali dove gli investimenti stranieri sono proibiti o ristretti, 25 pagine che ben coprono il settore primario, secondario e terziario. E’ normale che l’Europa non possa reggere il confronto con la Cina, ma la Francia, astutamente, copia il modello cinese e riesce attraverso Danone, L’Oreal, Axa & Co. a creare una forza di sistema che riesce a meglio a penetrare l’intricato sistema industriale cinese. L’Italia, purtroppo, non riesce a raccogliere quel successo che meriterebbe. Basterebbe copiare la Cina o, almeno, la Francia che, in Cina, vende circa 6 volte più vino di noi.
Restringendo il confronto ai flussi di acquisizioni tra Francia e Italia, la situazione resta a nostro sfavore: dal 2005 ad oggi, la Francia ha completato acquisizioni di aziende italiane per un valore triplo di quanto aziende italiane abbiano fatto in Francia (85 miliardi contro 35 miliardi). Secondo dati del Sole24Ore, la Francia detiene il 7% della capitalizzazione complessiva della borsa di milano, mentre le aziende italiane detengono meno dell’1% di quella di Parigi. Chapeau alla Francia che sembra saper ben agire, ma non facciamoci prendere troppo da un complesso di inferiorità anche nei confronti della Francia e, tantomeno, aggiungere al danno anche le beffe degli ultimi giorni: chiusura dei porti francesi ai migranti, stop a Fincantieri sono alcuni degli schiaffi che l’Italia continua a subire, senza parlare dell’invasione della Libia.
Ho scritto già che Macron fa anche bene a far quello che crede sia giusto per salvaguardare gli interessi della Francia. Mi piacerebbe sentire Gentiloni fare il pugno forte e dichiarare che i settori media e telecom sono strategici per il paese e bloccare Vivendi. Così, tanto per fare prove tecniche di sistema, in piccolo, prima da sfidare anche la Cina. Da ex-banker della City, responsabile per tanti anni proprio del settore Telecom/Media, ed oggi in Cina, darei anche il mio appoggio tecnico se servisse. E se qualcuno dubita se il patriottismo economico può , ogni tanto, funzionare o no, guardi alla Cina.

2 COMMENTS

  1. La questione centrale sono gli investimenti, non la nazionalità degli azionisti di maggioranza. Se l’azienda – a controllo pubblico o privato che sia – fa gli investimenti, bene. Se non li fa, male, molto male. Ne soffre l’intero sistema paese e in questo caso una spinta pubblica in tal senso è più che legittima.
    Ok al dibattito sul tema, ma non si deve dimenticare il vero obiettivo di fondo: investire.

  2. biosgna quindi verificare che il nuovo azionista investa realmente con denaro nuovo, e non che acquista solamente il pacchetto azionario e faccia investimenti industriali con il cash flow generato, perché in questo caso c’è poco o nessun valore aggiunto.

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