L’Unione Europea e lo Tsunami del Manifatturiero cinese

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L’Europa comincia un po’ a svegliarsi sul pericolo che la Cina ed altri paesi asiatici pongono per le nostre aziende del settore manifatturiero. L’idea di concedere lo status di economia di mercato alla Cina è, per fortuna, tramontata, grazie anche al lavoro dei nostri rappresentanti.

Ieri, l’Unione Europea, ha deciso di darsi più flessibilità nel decidere se, un certo prodotto importato da un certo paese, viola o no le regole di anti-dumping. In pratica, prima si paragonavano i prezzi in ingresso con due modalità distinte:

  1. i prezzi in vigore nel mercato del paese esportatore (per quei paesi riconosciuti come economie di mercato);
  2. i prezzi vigenti sui mercati internazionali (per quei paesi non riconosciuti come economie di mercato).

Con le nuove regole, in aggiunta ai criteri sopra citati, la UE potrà anche valutare le norme sulle condizioni dei lavoratori, rispetto dell’ambiente ed altri criteri “soft” che, in sostanza, danno molta più libertà ai legislatori europei di imporre dazi.

Anche stavolta, come nel caso della proposta Juncker sul monitoraggio degli investimenti, non c’è riferimento diretto alla Cina. Ma la posizione dei policy makers cinesi qui a Shanghai oggi è già chiara e la sintetizzo così: “La Cina avrebbe diritto ad essere considerata un’economia di mercato, cosa che voi non volete riconoscere; nell’attesa, a prova del nostro desiderio di lanciare una colomba bianca, siamo disposti a sottostare alla regola 2 di cui sopra che paragona il prezzo dei nostri prodotti e quelli dei mercati internazionali, ma la nuova regola che si estende ad altri criteri soft, viola il principio del WTO (Organizzazione Mondiale Commercio) ed in pratica crea discriminazioni tra paese e paese”.

In effetti, la Cina, ha ragione a criticare questa mossa della UE che nel tentativo, giusto anche, di proteggere le nostre industrie manifatturiere, si è insabbiata in un labirinto legale che potrà avere ripercussioni e sanzioni anche da parte del WTO stesso. Con l’aggiunta dei nuovi criteri soft, si viola il principio di ‘equal treatment’, uguaglianza nel trattamento tra i vari paesi e si introduce un certo elemento di soggettività nel giudicare se ci sia dumping o meno, e la soggettività porta quindi a discriminazione.

Dall’altra parte, capisco benissimo la frustrazione delle industrie manifatturiere europee che devono competere con la Cina sui due cardini base della concorrenza: prezzo e prodotto, purtroppo per noi, tutti a favore delle Cina. Da un lato, la qualità dei prodotti cinesi ormai non è più per nulla inferiore a quelle dei prodotti europei (in gran parte dei settori) e, col passare del tempo, ci sarà da stare poco allegri. Dal lato del prezzo, dal momento che la Cina produce il 50% di tutto quello che viene prodotto al mondo –numero approssimato ma facile da ricordare-, è chiaro che anche se ci fosse – e non c’è -assenza di dumping, di aiuti di stato, di sovvenzioni varie, le economie di scala sono così grandi che è praticamente impossibile per un operatore italiano competere, anche su base equa.

Proprio ieri si discuteva di dazi sulle importazioni di biciclette elettriche dalla Cina, Cina che produce 50 milioni di pezzi all’anno contro 1 milione in Europa; chiaramente non è possibile per noi produrre a costi competitivi. E’ questo quello che io chiamo lo Tsunami del Manifatturiero Cina che spazzerà tutta l’industria italiana ed europea. Ed è forse sentendo i primi tremori che la UE cambia marcia e aggiunge nuovi criteri per definire il significato di “concorrenza”, nella speranza di riscrivere le regole del commercio internazionale a proprio favore.

Questo articolo è stato pubblicato su Radiocor/IlSole24Ore

 

1 COMMENT

  1. Very interesting contribution towards a better understanding of the dynamics present on the international market systems, especially because it clarifies the gargantuan dimensions of the Chinese industrial output when compared to the potential production abilities of the EU

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