I cinque pilastri del successo economico cinese

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(Foto di China Photos/Getty Images)

Negli ultimi quarant’anni la Cina è stata protagonista di un successo economico e sociale senza precedenti. Tale successo si fonda su 5 pilastri fondamentali che noi, in Italia e in Europa, dovremmo studiare per comprendere bene le sfide e le opportunità che la Cina ci presenta. I 5 pilastri sono:

  1. controllo dei dazi
  2. controllo della migrazione
  3. controllo della demografia
  4. controllo del tasso di cambio
  5. controllo dei tassi d’interesse

Al di là del giudizio etico e morale che si può esprimere riguardo questa tipologia di politiche, il fatto che la Cina sia riuscita a raggiungere i suoi obiettivi resta una realtà concreta e a dircelo sono proprio i numeri di un Paese che negli ultimi 40 anni ha visto PIL crescere di quasi il 10% annuo in media, il reddito nominale dei cittadini sia rurali che urbani aumentare di circa 100 volte, l’eradicazione della povertà per circa 800 milioni di abitanti, lo sviluppo di infrastrutture e la modernizzazione di un’economia che era stata lasciata in uno stato disastroso dalla rivoluzione culturale degli anni ‘60 e ‘70. Un miracolo economico che non ha precedenti nella storia dell’umanità, se si considera che in Cina abitano 1.4 miliardi di persone.

Cosa possiamo imparare dalla Cina? Quali sono le politiche economiche e sociali che potrebbero essere attuate anche da noi e portare dei vantaggi? Cosa deve chiedersi il nostro Paese? Aprirsi al liberismo commerciale dettato da una scuola di pensiero che sintetizzo con “Pro Europa, Pro Mercato, Pro Euro” o prendersi una pausa di riflessione e guardare come le economie stataliste hanno raggiunto i loro obiettivi? Perché, che si sappia, è con loro che si competerà da oggi in poi, ad armi più o meno pari.

Riguardiamo sinteticamente ciascuno di questi cinque pilastri osservando quali siano state le politiche che la Cina ha attuato nel tempo e quali i risultati ottenuti.

  1. Controllo dei dazi

Nel 2011 la Cina è entrata a far parte dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) con la promessa di abbassare i dazi nei 15 anni successivi, cosa che è avvenuta soltanto in parte, infatti adesso in Cina i dazi per le merci importate sono sopra l’8%, quasi il triplo di quanto sono negli Stati Uniti (2,8%) e molto più del doppio di quanto sono in Europa (3,1%). Grazie a questa politica di controllo dei dazi, il surplus commerciale in Cina è cresciuto esponenzialmente contribuendo alla crescita del PIL ed all’accumulo di risorse monetarie in valuta straniera che ha raggiunto il picco di circa quattromila miliardi di dollari nel 2016.

2. Controllo della migrazione

Nel 1958, la Cina ha introdotto il sistema dello Hukou per la registrazione dei residenti, dividendoli in due categorie: residenti urbani e residenti rurali. Da quel momento, la migrazione dalle campagne alle città è stata pianificata e, come una valvola, le regole che consentivano la migrazione sono state rigide quando le città non riuscivano più a sostenere il flusso, e più leggere quando invece le città avevano bisogno di nuova forza lavoro. In questo modo la Cina ha, inter alia, potuto regolare l’aumento dei salari dei lavoratori agendo sul lato dell’offerta, in modo da non cadere nella “trappola del reddito medio”.

3. Controllo demografico

Tra le politiche sociali più controverse portate avanti dal governo cinese vi è sicuramente quella sul controllo demografico, la quale ha mostrato quanto possa essere aspro il conflitto tra l’interesse della collettività e quello dell’individuo. Dal 1950 al 1980 la popolazione cinese è cresciuta da 540 milioni a 980 milioni. A quel punto il governo ha compreso che per quanto alta potesse essere la crescita del PIL, la crescita del PIL pro capite ne avrebbe sofferto e ha quindi lavorato sul denominatore dell’equazione. Nel 1982 è stata quindi introdotta la politica del figlio unico per le famiglie urbane, i contadini invece potevano avere un secondo figlio qualora il primogenito fosse stato femmina. Il tasso di fertilità è passato da 2.6 a 1.6, la crescita della popolazione ha rallentato e, pian piano, la politica è stata rilassata. Ad oggi tutti i cittadini, senza distinzione di residenza, possono avere due figli. Al contrario di quanto si possa essere portati a pensare, le minoranze etniche (Tibet ed altre) sono state privilegiate potendo avere due o anche tre figli.

4. Controllo del tasso di cambio

La banca centrale cinese (PBoC) ha sempre tenuto sotto controllo il tasso di cambio della propria valuta, mantenendo il pieno controllo della politica monetaria. A causa della Impossible Trinity, infatti, ha dovuto tenere chiuso il flusso di capitali in ingresso ed uscita dal paese. Il tasso di cambio controllato ha consentito la spinta verso le esportazioni che sono cresciute dallo zero del 1978 fino al picco di 2.3 miliardi di dollari del 2014. I ricavi delle esportazioni sono stati utilizzati per acquistare dall’estero le materie prime, know-how tecnologico e capitale umano di cui la Cina aveva bisogno e che ha trasformato il tessuto industriale del paese. Il risultato è stato che, come per magia, la Cina ha trasformato magliettine di cotone e computer (che esportava) in una rete ferroviaria ad alta velocità di 25’000 km.

 

5. Controllo dei tassi d’interesse

Se da un lato molti osservatori si concentrano sul modo in cui la Cina abbia tenuto il controllo del cambio per favorire le esportazioni, dall’altro si parla molto poco di come sia invece stato il controllo dei tassi d’interesse a dare una spinta ulteriore alla crescita economica. La curva dei tassi per obbligazioni del governo è quello che io chiamo “La madre di tutte le curve”, la base sulla quale tutti gli altri assets vengono prezzati. In un’economia bilanciata i rendimenti dovrebbero essere vicini alla crescita nominale del PIL, un po’ com’è da noi, crescita bassa e tassi bassi. In Cina, invece, i tassi sono sempre rimasti molto al di sotto della crescita del PIL e questo divario ha costituito una sorta di sussidio che il governo ha fornito alle aziende, che hanno potuto investire molto più liberamente essendo il costo del denaro relativamente basso. Il meccanismo di trasmissione dei tassi sull’economia reale, combinato con l’alta incidenza degli investimenti sul PIL della Cina (intorno al 50%, molto più alto di qualsiasi altra nazione, BRICS compresi), ha fatto sì che la crescita economica abbia potuto raggiungere quel 10% annuo per 40 anni.

2 COMMENTS

  1. Leggo oggi il suo interessante articolo sulla Cina, sul blog di Beppe Grillo. Paese che avrei avuto un grande piacere di conoscere, ma non me ne è stata data opportunità. Oggi ho 82 anni e in pensione da 17. Nel 1991 una azienda milanese che in Cina fornì tre impianti per la produzione di imballaggi flessibili (Packing & Covering), mi interpellò in quanto esperto, per l’avvio e conduzione. Incarico che rifiutai in quanto i milanesi pretendevano un rapporto di dipendenza a loro mentre io preferivo, come ho sempre operato, da libero professionista. Per gli interessi dell’azienda e non della proprietà. Essendo in quel caso lo Stato la proprietà.

    Ho seguito, purtroppo per quel che è possibile, gli sviluppi e i progressi di quel grande paese e sentito un po’ di tutto. Come ad esempio che, negli interessi primari, lo Stato è in società con gruppi stranieri, proprio per averne il controllo e, all’occorrenza, disporre di capitali se in crisi. Mi interesserebbe molto saperne di più, su quel centro a 80 km. da Pechino, dove sono state convogliate le migliori teste cinesi, in campo informatico, che hanno realizzato la Cyberware. Ossia l’uso delle armi del nemico a seguito di quanto dichiarato da Hu Jintao, pressappoco: “E’ assurdo investire capitali in armi che si sa non verranno mai usate (atomiche). Meglio usare quelle degli altri contro loro stessi (riferendosi ai missili)”
    Se non la disturba, lei ne sa qualcosa in proposito? Perché vedo Trump che attacca tutti ma evita con cura l’urto cinese, perché il Pentagono ha già ricevuto due ammonimenti dalla Cina che, come lei sa, sono sottili. Se ricordo bene, Obama aveva invitato la Cina a rivalutare il suo Renminbi o Yuan cinese.
    Poco prima della crisi, partita dagli USA, in una trasmissione della RAI, RAINEWS 24, andata in onda verso le due del mattino, un padre Comboniano da 40 anni in Africa, affermo che in quel continente, i cinesi, stavano investendo enormi capitali, come mai era avvenuto. Insegnavano ai neri a pescare il pesce anziché fornirglielo. sostenendo che sarebbe stata l’Africa il domani, in quanto il continente più ricco. cosa che naturalmente non fa piacere a chi dall’Africa ne sfrutta le risorse e non sono africani.
    Ora la seguirò con piacere.
    Sentiti omaggi.

    Enrico Fumagalli

  2. Caro Prof…so che magari non è interessante,ma potrebbe parlare di come la Cina sfrutta gli animali,?Festival di Yulin,per esempio…di come,dietro la medicina tradizionale cinese,si nascondano torture inimmaginabili,tipo le fattorie della bile dei poveri orsi??con gratidudine ,Francesca

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