Come è riuscita la Cina a sradicare la povertà? Nel 1978 circa l’80% della popolazione cinese viveva sotto la soglia della povertà; oggi, quarant’anni dopo, questa percentuale è scesa al 10% il che equivale più o meno a una riduzione della povertà di circa 400-500 milioni di persone. Quali sono le basi di questo grande successo che non ha avuto precedenti nella storia dell’umanità? Quali sono le lezioni che possiamo apprendere da questo successo e, cosa molto più importante da capire, può il modello cinese essere esportato in Africa, cosicché finalmente dopo decenni di povertà, l’Africa possa finalmente stabilizzarsi economicamente?
Qualche giorno fa, si sono riuniti a Pechino esperti sul tema della povertà per dibattere su come possa la Cina raggiungere un livello di zero povertà entro il 2020. Un traguardo molto ambizioso perché, come sappiamo, è molto più facile passare dall’80% al 70% che dal 10% allo 0%: il classico problema dell’ultimo miglio. Il professore Li Shi della Beijing Normal University, il professore Li Xiaoyan della Beijing Agricultural University ed il professore Xun Lili della prestigiosa Accademia delle Scienze Sociali di Pechino hanno prima affrontato il tema di quale sia l’effettiva definizione di povertà; se è, per esempio, corretto usare gli standard della Banca Mondiale o bisognerebbe usare degli standard locali che tengono conto delle condizioni di vita dei singoli individui o dei singoli villaggi ed in modo particolare di quali siano le esigenze primarie delle famiglie e se queste esigenze possano o meno essere soddisfatte da un preciso livello di reddito. Oggi, la Banca Mondiale usa lo standard di circa due dollari al giorno come reddito minimo al di sotto del quale si è ufficialmente sotto la soglia della povertà.
Il modello per la ulteriore riduzione della povertà durante i prossimi tre anni si dovrebbe basare su tre cardini fondamentali come proposto dai tre esperti:
- interrompere la catena di povertà inter-generazionale tra genitori e prole con un focus particolare su iniziative che garantiscono sia l’istruzione sia la nutrizione dei bambini in modo che questi possano facilmente abituarsi ad interagire con la società moderna anche al di fuori delle proprie zone rurali di origine.
- Sviluppo delle infrastrutture base come ad esempio strade asfaltate e sistemi di trasporto che riescano ad abbassare i costi ed i tempi di trasferimento da una zona all’altra. Un esempio classico è quello dei contadini, che ogni giorno portano i loro prodotti dalle zone dove risiedono al mercato della città più vicina, ed è chiaro che un sistema di trasporto più agevole potrebbe aumentare sia il reddito delle famiglie che la produttività, abbattendone i costi.
- Aumento del reddito medio delle famiglie attraverso un’allocazione della forza lavoro più efficiente e migliore utilizzo del risorse umane nei periodi dell’anno in cui l’agricoltura non richiede una presenza costante. Quindi, far sì che il contadino, quando non è necessaria la vicinanza ai campi, possa fare dei lavori part-time nei centri urbani limitrofi.
Questi sono stati i punti di forza delle politiche degli ultimi quarant’anni che hanno dato i risultati di cui abbiamo parlato ma che adesso va attuato in misura molto più capillare per andare a colpire quell’ultima parte della popolazione che si trova in stato di povertà ma che vive dispersa tra le campagne e le montagne del vasto territorio cinese.
Passando al confronto internazionale tra il processo di riduzione di povertà che si è verificato in Cina con quanto avvenuto in Africa, si evince che i due modelli hanno portato a risultati diametralmente opposti. Nelle parole dei miei interlocutori cinesi “un successo per la Cina, ed un fallimento senza attenuanti per l’Africa”, il cui tasso di povertà è rimasto pressoché costante al 50% per tutta la seconda metà del secolo scorso e a fronte di una popolazione che è raddoppiata. Il che ha, fondamentalmente, portato al raddoppio del numero dei poveri in Africa. In Cina, il numero di poveri si è ridotto di 400 milioni, in Africa è aumentato dello stesso numero, più o meno.
Agli occhi della Cina, il fallimento delle politiche in Africa è equivalente al fallimento del modello occidentale di aiuti verso l’Africa, quello che io chiamo il “modello Bob Geldof”. Soltanto negli ultimi anni il tasso di povertà in Africa è cominciato a scendere dal 50% all’attuale 40%. Motivo di gaudio per l’Occidente? Assolutamente no. Anzi è la Cina, che negli ultimi 15 anni ha investito pesantemente nello sviluppo delle infrastrutture in Africa, che si prende il merito di questa riduzione di povertà.