Continuiamo la discussione sul programma China Manufacturing 2025, il grande piano industriale che la Cina ha messo in piedi nel 2015 ricordando in cosa consiste il piano e quali sono le possibili sfide ed opportunità per le aziende occidentali. Chi mi segue sa bene qual è il mio punto di vista: uno tsunami che si abbatterà sull’Europa che è completamente impreparata a rispondere a questa sfida perché crede, sottovalutandolo, che il CM2025 sia l’equivalente cinese del nostro Impresa 4.0. Il piano industriale è contenuto in vari volumi, l’ultimo uscito da qualche giorno, 500 pagine fitte esclusivamente in cinese.
Tra le tante differenze che esistono tra il piano industriale cinese e quello nostrano vi è che, in Cina, la strategia parte dal governo centrale e viene trasmesso a cascata a tutte le aziende, sia di stato che private, a tutti i governi locali affinché tutte la parti interessate lavorino in sincronia con interessi completamente allineati. Il governo cinese ha la capacità di indicare cosa deve essere prodotto, con quali scadenze, da quale azienda, in quale provincia e, cosa fondamentale, possiede il controllo totale dell’economia cosicché è in grado di attuare politiche di redistribuzione del reddito laddove si dovessero, come è probabile, creare degli scompensi economici e sociali causati dalle scelte produttive di cui sopra. Per meglio comprendere, se lo stesso metodo venisse adottato in Europa, la Commissione dovrebbe decidere che la Fiat e non la BWM né la Volvo dovrà produrre un numero stabilito di veicoli elettrici, prodotti a Termini e non in Polonia. La stessa Fiat poi dividerà parte dei profitti con il governo della Baviera e Svedese per compensare del mancato business, e Termini verserà alle casse Europee un indennizzo per essere stata scelta. In Cina funziona così. Penso, quindi, abbiamo tutti capito perché lo chiamo Tsunami del China Manufacturing.
La seconda differenza tra CM2025 e Impresa 4.0 consiste nel fatto che il piano industriale cinese ha chiaramente identificato 10 settori industriali, per ognuno dei quali sono stati identificati sotto-settori fino a vari livelli e, per ciascuno di essi, sono stati identificati i tassi di crescita mondiali e la quota di mercato che la Cina intende ottenere, in alcuni casi molto specifica. La Cina darà priorità ai settori: Robotica, Aerospazio, Information Technology, Ingegneria marittima, trasporti ferroviari, veicoli elettrici, macchinari agricoli, nuovi materiali, biofarmaci, macchine elettriche. Il punto cardine è che la lista è un misto di new e old economy e nel piano industriale cinese l’agricoltura conta tanto quanto il settore aerospaziale. Nel nostro impresa 4.0, la lista del nostro governo comprende non 10 settori, bensì 10 azioni, che tuttavia hanno il limite di focalizzarsi principalmente su incentivi e sgravi fiscali, ma non molti investimenti sulla top line e poco (per quanto mi risulta) obbiettivi chiari e precisi. Solo per fare un esempio, il piano ha come obbiettivo che nel 2020 la Cina avrà 15% del mercato globale dei microchip per terminali mobili, e nel 2025 tale quota arriverà al 20%. Così per tutti i prodotti e sotto prodotti dei dieci settori.
Forse, anche la Cina fa l’errore di sottovalutarci. Tra le 500 pagine dell’ultimo documento, vengono anche analizzati i progressi dei piani industriali dei paesi ritenuti concorrenti. All’America vengono dedicate 15 pagine, al Giappone 12, alla Germania 12, alla Corea 10, alla Russia 8, all’India 8, all’Inghilterra 6 pagine, alla Francia 4 e all’Italia 2. Che dire, forse una speranza l’abbiamo. Stiamo zitti e lavoriamo senza farci sentire.
L’ultima frase, molto significativa, da sola meriterebbe un capitolo, cospiquo.