Le dogane cinesi hanno registrato per il 2021 un incremento delle importazioni dall’Italia pari a +42%, rispetto al 2019. Ciò ha generato reazioni entusiaste tra vari osservatori e media che nell’euforia del momento sono stati tratti in inganno dall’apparenza. Purtroppo, invece, l’export del Made In Italy verso la Cina, è cresciuto, non del 42%, ma di solo il 2% in due anni. Questo è il risultato del nostro modello di equilibrio sul commercio estero sviluppato con il mio team della Nottingham University e della New York University, in cooperazione con gli analisti del OCSE a Parigi e da me personalmente presentato a Ginevra al Direttore Generale del OMC Ngozi.
A cosa è dovuta questa enorme differenza, non solo numerica, ma di fondamentali dinamiche di performance?
Tre sono le principali ragioni:
- Aumento dei costi di spedizione
- Chiusura della frontiera tra China Mainland e Hong Kong
- Evoluzione del cambio Euro-Dollaro.
Ma alla base di tutto sta il diverso modo di riportare i dati di importazione da parte delle dogane del paese importatore, in questo caso la Cina, ed il modo di riportare i dati da parte delle dogane del paese esportatore, in questo caso l’Italia. Una differenza metodologica che, in passato, è stata parzialmente ignorata perché esisteva una sostanziale uniformità strutturale e, anche a fronte di valori assoluti diversi, entrambi i metodi fornivano tassi di crescita simili. Questa relazione di proporzionalità si è purtroppo alterata e la divergenza dalla realtà viene amplificata dalle tre dinamiche elencate. Il fenomeno va quindi ben analizzato in modo che lo sforzo del Ministro Di Maio e dell’ICE possa essere ben modulato e adattarsi alla direttrici di domanda del nostro Made In Italy. Iniziamo dalla differenza nel modo di riportare i dati.
Le differenze nel modo di riportare i dati tra i Paesi
Il paese esportatore, Istat, dichiara il valore delle esportazioni al porto di partenza, per esempio Genova (detto FOB), mentre l’ufficio statistico cinese dichiara il valore delle importazioni al porto di arrivo, per esempio Shanghai (detto CIF), quindi, a causa dei costi di trasporto e di assicurazione, il valore CIF a Shanghai sara sempre, per definizione, più alto del valore FOB a Genova. Va sottolineato, quindi che questa differenza rappresenta l’ammontare che viene corrisposto alle compagnie di navigazione e assicuratrici, e non ai produttori del nostro Made in Italy. Se, per esempio, ceteris paribus, i costi dei container aumentano, la Cina dichiarerà importazioni dall’Italia in crescita, mentre per l’Istat, e per il manager del capannone in Veneto, nessun ricavo aggiuntivo. Esiste un’altra differenza: il paese esportatore dichiara come partner commerciale il paese di primo passaggio delle merci, indipendentemente da chi siano in consumatori finali, se in quel paese o in un altro paese. Il paese importatore invece dichiara come partner il paese di produzione delle merci, indipendentemente dai transiti che i container possano fare in paesi terzi. Quindi, se l’Italia vende 1mld di merci alla Cina, ma il container va da Genova a Rotterdam e poi da Rotterdam in Cina, l’Istat dichiara 1mld di export verso l’Olanda, ma la Cina dichiarerà 1mld di import dall’Italia. I valori CIF sono quindi sempre più alti dei valori FOB per due motivi: costi di trasporto e triangolazioni. In passato, questi due valori, sebben diversi, seguivano dinamiche parallele, non essendoci grosse variazioni né nei costi di trasporto, né nella geometria della triangolazioni. Adesso non è più così e l’aumentato dei costi di spedizione ha creato una divergenza. I valori di import dichiarati dalla Cina di 21.4mld e 30.3mld (2019 e 2021) che rappresentano l’iniziale +42% vanno quindi riportati al netto di tali divergenze (e dell’aumento delle quantità trasportate) e si riducono 20.5mld per il 2019 e 25.7mld per il 2021. Il tasso di crescita “nelle nostre tasche” è così sceso al 25%.
Il secondo fenomeno, particolare dell’export verso la Cina, è quello dai “Daigou”, acquisti all’estero, in genere lusso, da parte di individui che poi rimpatriano la merce fuori dai canali ufficiali per rivenderli a consumatori finali in Cina. Il valore di tale fenomeno per il Made In Italy è da noi stimato a 2.4mld di dollari, acquisti effettuati a Londra, Parigi ma soprattutto a Hong Kong, confine che in passato si poteva attraversare più volte al giorno. Tale fenomeno è sempre esistito, ma non figurava mai nelle statistiche bilaterali Italia-Cina, né lato FOB, né lato CIF. Il FOB, come detto, non si cura di chi siano i consumatori finali, e quindi noi registravamo export verso Hong Kong. Il CIF si cura si dell’origine dei prodotti, ma proprio per la sua natura “non ufficiale” non veniva conteggiato neppure nelle statistiche CIF delle dogane cinesi. Ma era merce acquistata in ultima istanza da consumatori cinesi. Con le chiusure delle frontiere, il fenomeno Daigou non è più attuabile e quindi il transito tra Hong Kong e la Madrepatria nel 2021 è emerso, per la prima volta, tra i canali ufficiali. Quindi, improvvisamente, nell’era Covid, i dati delle dogane cinesi, CIF, hanno cominciato a registrare questo flusso dall’Italia. Flusso, che, attenzione, al di là delle variazioni tra anno e anno, è sempre esistito e non costituisce “trade diversion” da un mercato all’altro (per es: prima vendevamo ai tedeschi e ora ai cinesi. No. Vendevamo sempre ai cinesi) e quindi va aggiunto alle statistiche export del 2019 con l’effetto che la base di partenza del nostro export verso la Cina passa a$23miliardi. L’ultimo aggiustamento alle statistiche è il semplice effetto del cambio $/€ che ha ulteriormente gonfiato le statistiche espresse in dollari per il 2021. Ma a noi interano le cifre in € che, dopo queste tre correzioni diventano 21.5mld di export nel 2019 e 21.8mld nel 2021.
I dati reali sull’export italiano
La crescita del nostro export non è quindi stellare come indicato dalle dogane cinesi (30mld contro 21mld), ma un modesto 2% (21.8mld contro 21.5mld). Ci lanciamo in una previsione: quando Istat pubblicherà i suoi dati, che tengono in modo diverso di questi fenomeni, il nostro modello prevede una crescita, in Euro, del 14%.
Ciò posto, la Cina resta il quarto partner commerciale dell’Italia e consuma ben $38mld di prodotti Made In Italy, un mercato da cui la ripresa dell’economia italiana è assolutamente imprescindibile e questo concetto, temo, non sia ancora stato ben afferrato dagli addetti ai lavori, spesso distratti da temi di geopolitica e che poco guardano agli interessi dei nostri cittadini, come dovrebbero per dovere istituzionale. Ma dobbiamo far presto, il tempo passa ed i nostri concorrenti fanno passi avanti.