Liberali nel commercio non implica essere liberali anche su acquisizioni

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Liberalismo o protezionismo? Una domanda che va avanti da 500 anni senza risposte chiare. Tuttavia va fatta una importante differenza se si parla di commercio internazionale, di acquisizioni cross border di aziende già esistenti o, infine, di investimenti greenfield. Per ognuna di tali modalità, ogni stato può e deve scegliere le strategie più adatte.
Sul greenfield, è più facile avere una visione liberista dal momento che l’azienda straniera investe in qualcosa che prima non c’era e quindi quasi sempre crea valore.
Sul commercio, le politiche possono seguire la via del liberismo o del protezionismo, ma in ogni momento si può sempre fare marcia indietro e cambiare atteggiamento.
Per quanto riguarda le acquisizioni di aziende già esistenti (vedi Fincantieri/STX, TIM/Vivendi, Milan, Inter etc.), bisogna stare con i piedi ben saldi per terra perché una volta venduto (o svenduto) non c’è modo di fare marcia indietro ed il valore dell’azienda passa nelle mani di altri, amici o no che siano e i soldi, in genere, finiscono per lasciare il paese.
Quindi, da ex banker, dico sempre: chi vuole vendere venda solo il 30% per iniziare, il nuovo azionista aiuti ad aprire il proprio mercato ai prodotti e poi si potrà discutere di aumento di quote azionarie. Ma a vendere il 100%, o quote di maggioranza, ci si mette in un tunnel senza uscita, una scommessa al buio. Macron fa bene gli interessi della Francia, è stato votato per fare questo. Noi stiamo attenti a fare i liberisti per partito preso senza fare i conti.

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