Le statistiche ufficiali ci suggerirebbero che poco più della metà del nostro export (51%) è diretto verso i 26 paesi dell’Unione, un ulteriore 16% verso altri paesi europei extra Ue. L’Europa sarebbe quindi destinatario del 67% del nostro export. Un ulteriore 27% è equamente suddiviso tra Asia e America (circa 13% a testa), con gli Usa che, come naturale, fanno la parte del leone rappresentando circa il 10% del totale. La somma, quindi di Europa e Usa, circa 77%, dà sostegno all’idea che bisogna prima guardare all’Occidente come nostro primo mercato di sbocco del made in Italy e poi, se possibile, all’Asia e Africa, relegate, insieme, a solo un quarto del totale del nostro export.
Questa visione non è corretta, perché le statistiche ufficiali pubblicate da Istat riguardano soltanto i rapporti bilaterali diretti tra l’Italia ed i paesi importatori, spesso non tengono conto che il paese di prima importazione dei nostri prodotti non è il paese dove le merci vengono consumate, ma queste vengono poi «rigirate» verso paesi terzi che sono i consumatori finali. Ci sono tre tipi di flussi che non sono presenti nelle statistiche ufficiali.
1) Il primo e classico esempio è il noto «effetto Rotterdam». Il porto olandese è hub principale in Europa del traffico di containers verso il resto del mondo, ma talvolta le statistiche ufficiali registrano il nostro export come «verso l’Olanda» e non verso il consumatore finale che potrebbe essere in qualsiasi altra parte del mondo, Asia, America o Africa. Così facendo, si sovrastimano le esportazioni verso paesi Ue (l’Olanda, appunto) e si sottostimano le esportazioni verso paesi extra Ue, che, in buona sostanza, sono i nostri veri clienti, quelli che a tavola mangiano il nostro cibo, quelli che si vestono della nostra moda e coloro le cui fabbriche usano i nostri macchinari per le loro industrie manifatturiere. Sono loro i consumatori finali che decidono se acquistare e consumare il nostro made in Italy e a cui le dovute attenzioni di marketing, branding e immagine vanno rivolte, e non gli addetti ai container di Rotterdam.
2. La seconda tipologia di flussi non presenti nelle statistiche ufficiali è rappresentata dai beni intermedi che l’Italia esporta verso il primo paese di importazione e che questi li riprocessa, modifica, o assembla in un prodotto finale che viene poi, a sua volta, esportato verso il paese di utilizzo finale. Esempio classico, sono i nostri componenti auto che vendiamo alla Germania, ma che finiscono nelle auto vendute da Bmw in giro per il mondo.
Per l’Italia lo share di prodotti intermedi sul totale è circa il 50%, quindi circa 250 miliardi del nostro export non è detto che vengano utilizzati nel primo paese di importazione, anzi, con la crescente complessità della Global Value Chain, una grossa parte finisce in paesi sempre più lontani. Anche questo dinamica non è presente nelle statistiche ufficiali, che quindi sovrastimano l’export verso i paesi di primo transito e sottostimano l’export verso i paesi che consumano i prodotti: in quali strade del mondo circolano le Bmw. In questo scenario, la conquista del cliente finale è un po’ più complicata del caso precedente che trattava di un semplice transhippment, senza alcuna modifica ai prodotti.
Qua, invece il made in Italy, è all’interno del prodotto finale. Talvolta emerge come valore aggiunto agli occhi del cliente («Questo abito prodotto e disegnato a Shanghai è però fatto con tessuti made in Italy»), talvolta no. Il nostro sforzo di marketing, quindi, deve seguire canali multipli e, restando all’esempio del settore auto, dovremmo anche noi, paradossalmente, fare il tifo affinché la Germania venda più Bwm in Asia o altrove.
3) Il terzo, e ancora più complesso da monitorare sono gli acquisti di turisti stranieri nel nostro territorio, suddivisi tra merci e servizi, perché nonostante le statistiche nazionali prevedano la presenza di una contabilità separata per il turismo, non tutte le transazioni vengono ben associate alla nazionalità del cliente che ha effettuato l’acquisto. Talvolta il pagamento di una pizza a Roma viene effettuato in cash, talvolta l’acquisto in duty free di una borsa viene effettuato da intermediari, talvolta anche dal cliente finale ma con contabilità sul paese partner confusa. Esempio: se una borsa Prada viene acquistata da un cinese in un negozio di Tokyo, dove compare questa cifra nelle statistiche export?
Credo da questi pochi esempi, sia chiaro come le cose siano più complesse di come appaiano in superficie agli occhi dei non esperti. Noi ci abbiamo provato e le nostre analisi preliminari hanno un po’ ribaltato le statistiche ufficiali ed il quadro che emerge è ben diverso dalla narrazione generale: l’Unione Europea, con queste correzioni ora rappresenta soltanto il 36% del nostro export (e non il 51% come si crede), il totale dell’Europa non è più l’originale 67%, ma soltanto il 48%, mentre l’America sale dal 13% al 18%.
Ma, ormai avrete già intuito, la differenza maggiore è tra Asia e Africa che passano dal 18% «ufficiale», al 33%, quasi il doppio. Andando più a fondo, avrete anche intuito che la grande differenza è proprio dovuta alla Cina che, è in realtà il nostro quarto, ripeto quarto, partner commerciale, dopo Germania, Usa e Francia e alla pari con Regno Unito, e che e’ destinatario di circa il triplo, ripeto, il triplo, dei 13 miliardi di euro che le statistiche ufficiali ci dicono.
Purtroppo, chi da noi mischia politica estera con politica commerciale dovrebbe tener conto di queste dinamiche e ben valutare le proprie azioni e parole con la massima attenzione e senza isterismi o ricerca di futili «mi piace», perché qualsiasi errore o sottovalutazione della vera importanza dei paesi emergenti, Cina, Asia e Africa, cadrà sulle spalle delle nostre aziende e dei nostri lavoratori, non certo su quelle loro. Il mio consiglio, da tecnico, al paese resta sempre lo stesso: fate prima le analisi, riflettete e poi decidete. Sembra ovvio, ma oggi pare non esserlo più
APPROFONDIMENTI E FONTI
- In Cina noi esportiamo il triplo (di Michele Geraci) è presente sui siti: milanofinanza.it, italiaoggi.it e sull’edizione di Italia Oggi – Numero 081 pag. 11 del 07/04/2021