Oltre a promuovere il commercio, la BRI migliora la comprensione comune e crea il rispetto reciproco.
Quando l’allora vicepremier italiano Luigi di Maio, l’ambasciatore italiano Ettore Sequi, il sottoscritto e l’intero governo italiano Conte I abbiamo lavorato a un memorandum d’intesa per l’iniziativa Belt and Road nel 2019, sapevamo che il mondo aveva bisogno di migliorare il commercio, rafforzare la comprensione comune, costruire il rispetto reciproco tra culture e sistemi socio-economici diversi e promuovere gli scambi interpersonali, ma non sapevamo che avremmo avuto ragione durante una grave crisi geopolitica.
Non solo per i recenti avvenimenti in Ucraina o in Afghanistan, ma per un ben più ampio e preoccupante “disaccoppiamento filosofico” che da alcuni anni altera i rapporti tra Occidente e Cina. Lasciando da parte lo squilibrio demografico ed economico tra i due blocchi – “l’Occidente” con solo il 14 per cento della popolazione mondiale che detiene il 60 per cento del PIL mondiale – vedo che questo disaccoppiamento è guidato da due approcci diversi: la Cina tende a preoccuparsi principalmente dei propri affari interni e di non interferire con gli affari interni di altri Stati sovrani e non ha intenzione di esportare il proprio modello sociale ed economico, mentre l’Occidente tende ad assumere un ruolo più proattivo nel suo tentativo di esportare il proprio modello sociale ed economico ad altri parti del mondo.
Lo sviluppo economico tra Cina e Occidente
L’Occidente ritiene che lo sviluppo economico debba essere accompagnato da un’apertura del sistema politico e percepisce le elezioni come sinonimo di democrazia, mentre la performance economica della Cina indica che i percorsi economici e politici non devono convergere e che la democrazia non deve essere misurata semplicemente, come crede l’Occidente, dal processo elettorale. Piuttosto, dovrebbe essere misurata dai risultati che il governo offre ai suoi cittadini. Il recente carta bianca sulla democrazia pubblicato dal governo cinese pone l’accento sulla differenza tra democrazie orientate ai processi e orientate ai risultati.
Il MOU tra Italia e Cina ha lo scopo di colmare queste lacune e riunire persone provenienti da Cina, Europa e Occidente. La nostra visione della cooperazione include scambi accademici, scientifici e commerciali. Io stesso potrei essere uno degli esempi più vividi di tale visione, lavorando per parte dell’anno come professore all’Università di Nottingham a Ningbo, nella provincia di Zhejiang, e trascorrendo i restanti mesi in Italia per aiutare gli italiani e il più ampio pubblico europeo a comprendere i recenti sviluppi in Cina e informa le aziende di qualsiasi potenziale opportunità commerciale.
E lo scambio di informazioni funziona anche nell’altra direzione: uno dei progetti di ricerca a cui sto lavorando con i miei studenti della Nottingham University è quello di analizzare la dipendenza europea dal gas russo, un argomento caldissimo di questi tempi. Portando l’attualità sia in classe che nei progetti di ricerca, gli studenti cinesi hanno l’opportunità di fare un’esperienza di vita reale e ampliare i propri orizzonti oltre la teoria standard insegnata all’Università e questo ha dato loro un vantaggio quando cercano di conseguire diplomi più elevati in Cina o in Occidente oppure esplorare opportunità di lavoro. Questo è ciò che io chiamo Belt and Road per i giovani: se i giovani iniziano a conoscere le culture straniere, quando diventeranno leader nei propri Paesi, sarà più probabile che possano contribuire alla pace nel mondo.
Belt and Road
L’iniziativa Belt and Road è collegata a progetti infrastrutturali più grandi. Ironia della sorte, una delle critiche che abbiamo ricevuto quando l’Italia ha aderito all’iniziativa è stata che le aziende cinesi potrebbero effettuare qualche acquisizione predatoria delle nostre infrastrutture strategiche, come i porti. I responsabili del MOU sapevano fin dall’inizio che dovevamo valutare sia i rischi che le opportunità, ma ci siamo anche resi conto che, al di là della retorica politica, quasi tutti gli altri porti europei hanno un coinvolgimento cinese a diversi livelli e in varia misura, sia attraverso la proprietà come nel porto greco del Pireo o tramite una concessione operativa come nel porto di Rotterdam, quindi il rischio che l’Italia venisse additata come unico Paese con un numero di porti a presenza cinese era zero.
Ma la storia si fa più interessante, con l’evolversi della crisi del gas russo: uno dei principali problemi che l’Italia deve affrontare ora quando cerca di diversificare la propria catena di approvvigionamento del gas è la limitata capacità portuale, che non è sufficiente per ricevere forniture alternative dalle grandi petroliere in arrivo da Paesi produttori di gas, come gli Stati Uniti. Se avessimo proseguito alla stessa velocità con lo sviluppo di progetti portuali italo-cinesi congiunti nell’ambito della Belt and Road Initiative, oggi saremmo in una posizione molto migliore per ricevere quelle spedizioni che avrebbero giovato non solo alla nostra stessa economia ma anche a quella degli Stati Uniti, che è stata critica nei confronti della Belt and Road Initiative. Oggi non possono sfruttare appieno il loro vantaggio competitivo nel settore energetico proprio a causa della nostra limitata capacità portuale.
La nostra visione avrebbe creato uno scenario vantaggioso per l’Italia, gli Stati Uniti e persino la Cina che, oggi, risentirebbero di una minore pressione internazionale nel mercato energetico globale. Il progetto che sto conducendo alla Nottingham University mira a monitorare e analizzare non solo il gas, ma tutti gli sviluppi infrastrutturali nei paesi coinvolti nella Belt and Road Initiative per informare il più ampio pubblico occidentale delle potenziali opportunità che esistono. Qualsiasi lettore, università o ente governativo che desideri far parte di questa iniziativa è invitato a contattarmi personalmente.
Come dico ai miei studenti di Ningbo e ai miei amici politici in Italia e a Bruxelles, la Via della Seta è sempre preferibile alla strada dei carri armati, e spero davvero che il detto “quando le merci attraversano i confini, gli eserciti no” diventi presto vero e il Belt and Road Initiative riguadagnerà il suo ruolo di agente di sviluppo economico sociale in Asia, Africa, Europa e qualsiasi altro continente che desideri unire le mani per lavorare insieme per la pace.